venerdì 8 novembre 2019

Jung, Ramana Maharshi e il concetto del Se'


Ramana Maharshi chiama l'Arman Io-Io, indicando cosi' che il Se' e' esperito come soggetto del soggetto, come la vera sorgente e guida dell'Io che tende sempre (erroneamente) a impadronirsi di quell'autonomia che e' precisamente il Se' a suggerirgli.

Questo conflitto non e' sconosciuto all'occidentale, per il quale e' il rapporto dell'uomo con Dio. L'India moderna, posso affermarlo per esperienza personale, ha ampiamente assimilato gli usi linguistici europei: Se' o Atman o Dio sono essenzialmente sinonimi.

Ma il contrasto, o la coincidenza, Io e Se', ha un significato un po' diverso dall'occidentale "Uomo e Dio". Io, in contrapposizione a Uomo, e' un concetto tipicamente " psicologico", e cosi' pure Se' come noi lo intendiamo.

Potremmo quindi essere inclini ad ammettere che il problema metafisico Uomo-Dio si sia spostato, in India, sul piano psicologico; ma da un esame piu' attento risulta che non e' affatto cosi', poiche' il concetto indiano dell'Io e del Se' non e' realmente psicologico, ma - si potrebbe dire - altrettanto metafisico quanto quello di Uomo e Dio.

Manca all'indiano, come manca al nostro linguaggio religioso, il punto di vista della critica gnoseologica: egli e' ancora "prekantiano".

In India non esiste ancora una psicologia nel senso nostro del termine. L' India e' "pre-psicologica": quando cioe' parla del Se', pone un Se'. La psicologia non fa cosi'.

Non che neghi l'esistenza del conflitto drammatico, ma si riserva la poverta', o la ricchezza, d'ignorare il Se'.

Ben conosciamo una peculiare e paradossale fenomenologia del Se'; ma siamo consci del fatto che percepiamo con mezzi limitati qualcosa di sconosciuto e lo esprimiamo in termini di strutture psichiche, di cui ignoriamo se siano o no conformi alla natura di cio' che dev'essere conosciuto.


Dal punto di vista psicologico si puo' stabilire soltanto che l'empiria del Se' mostra una sintomatologia religiosa, cosi' come il tipo di asserzioni associati al termine "Dio".

Per l'indiano e' chiaro che il Se', quale originaria sorgente psichica, non e' diverso da Dio, e che nella misura in cui l'Uomo e' nel suo Se', non soltanto e' contenuto in Dio, ma e' Dio stesso. Ramana Maharshi non ha dubbi al riguardo.

Ma indubbiamente questa equivalenza e' un'interpretazione. Cosi' come e' interpretazione concepire il Se' come "bene supremo" o come meta di ogni desiderio e appagamento.

Se concepiamo il Se' come essenza dell'interezza psichica (cioe' come totalita' di conscio e inconscio), esso rappresenta effettivamente qualcosa di simile ad una meta di sviluppo psichico, e cio' al di la' di tutte le attese e le opinioni consce. Esso e' il soggetto di un processo che si svolge al di fuori della coscienza, sulla quale esercita una specie di effetto a distanza, unica manifestazione della sua presenza.

Un atteggiamento critico nei confronti di questo processo naturale ci permette di sollevare problemi che la formula Se'=Dio esclude a priori. Questa formula addita, quale inequivocabile meta religioso-etica, il dissolversi dell'Io nell'Atman, come risulta in modo esemplare nella vita e nel pensiero di Ramana Maharshi. Naturalmente questo vale anche per la mistica cristiana.

Conseguenza inevitabile ne e' il deprezzamento e la soppressione dell'uomo fisico e psichico (del corpo vivente e dell'aham-kara) a favore dell'uomo pneumatico.
Ramana Maharshi chiama per esempio il suo corpo "questo zoticone".

In contrasto con questo, e in considerazione della complessa natura dell'esperienza (emozione + interpretazione), il punto di vista critico ammette l'importanza del ruolo dell'io cosciente, ben sapendo che se non ci fosse quest'ultimo (aham-kara) non vi sarebbe nessuno al corrente di qualsiasi accadimento.

Senza l'io personale del Maharshi che, a quanto risulta dall'esperienza, esiste soltanto con lo "zoticone" (=corpo) di sua pertinenza, non ci sarebbe mai stato un Ramana Maharshi.

Anche se vogliamo ammettere con lui che non e' piu' solo il suo Io che parla, ma l'Atman, sono la struttura psichica della coscienza e cosi pure il corpo che rendono possibili le comunicazioni attraverso il linguaggio.

Senza l'uomo fisico e psichico, anche il Se' e' un'astrazione, come ha gia' detto Angelo Silesio:

So che senza di me
Dio non puo' vivere un istante
Se io venissi meno
Giocoforza gli sarebbe rendere lo spirito

Il carattere di finalita' del Se' presente a priori e l'impulso a realizzare quel fine sussistono, come gia' detto, anche senza la partecipazione della coscienza. Non e' possibile negarli, ma non si puo' fare neanche a meno della coscienza dell'Io. Anche questa impone perentoriamente le sue rivendicazioni, e molte volte, in opposizione aperta o velata alla necessita' del divenire Se'.

In realta', a prescindere da poche eccezioni, l'entelechia del Se' consiste in una via di compromessi senza fine in cui l'Io e il Se' si controbilanciano faticosamente in vista del bene comune.

Un'oscillazione eccessiva dall'una o dall'altra parte risulta un esempio di come non si debba fare.

Ogni cosa ha bisogno, per esistere del suo contrario, altrimenti diventa insignificante fino ad annullarsi.

L'Io ha bisogno del Se', e viceversa.

Jung, La via del Se'




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